«Un professore»: corriamo ai ripari dai falsi maestri

Adolescenti stereotipati, adulti irresponsabili e inconsistenti. Pollice verso per la nuova fiction RAI con Alessandro Gassman

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Last updated on Novembre 22nd, 2021 at 09:49 am

«O capitano, mio capitano!»: così gli studenti salutavano il professor Keating, l’eccellente Robin Williams de L’attimo fuggente (1989), pietra miliare nella storia delle rappresentazioni del rapporto tra docenti e studenti. Una storia coinvolgente, nonostante il messaggio amarissimo: di fronte allo sguardo pieno di simpatia e di aspettativa con cui i giovinetti si affacciano alla vita, Keating sapeva dire solo «Carpe diem!». Perché, in fondo, il destino comune è diventare «carne per i vermi».

Poco ci hanno insegnato il suicidio filmico di Neil Perry (Robert Sean Leonard), 17enne frustrato nelle proprie aspirazioni da un ingombrante padre autoritario, e ancor meno l’allontanamento drastico del professore dalla cattedra: l’improvvisa presa di consapevolezza di Todd Anderson (Ethan Hawke), adolescente incerto e imbranato, che trova alla fine il coraggio di alzarsi in piedi, per salutare, almeno, il proprio “capitano”, hanno illuso che un barlume di novità fosse possibile per tutti. Che, quantomeno, esista la possibilità di una compagnia umana di fronte al disagio del vivere.

Nulla di straordinario, invece, per gli studenti del “professore”

Per quanto disperato, e ultimamente inconsistente, il professor Keating resterà nella memoria di più di una generazione, non foss’altro che per la capacità di entrare in relazione con gli studenti, con i loro desideri, con la drammaticità di un vivere che, laddove pure senza risposta compiuta, tenta almeno di spezzare il formalismo di una esistenza che non domanda neppure un significato.

Non sarà così, ne siamo certi, per il professor Dante Balestra, impersonato da Alessandro Gassman nella nuova fiction RAI Un professore. «Simpatico e responsabile, Dante Balestra è un insegnante di filosofia che ama le belle donne e insegna ai liceali a ragionare con la propria testa»: vien davvero da domandarsi a quale racconto abbia assistito chi è riuscito a formulare un giudizio simile. Balestra, lungi dall’essere un adulto responsabile, è l’esempio incarnato dell’adultescente: abbandonati moglie e figlio – in seguito a un episodio “misterioso”, gherminella degli autori perché il pubblico abbia almeno una ragione, la curiosità, per proseguire nella visione – guida un’improbabile automobile scalcagnata, dove la ruggine se la gioca con la polvere dei libri ammonticchiati.

«Per non fare figuracce mi sono rimesso a studiare filosofia», confessa Gassman: ci si chiede perché ne abbia sentito il bisogno, visto che Balestra non insegna mai nulla. Si limita a intercalare discorsi evanescenti con nomi noti, trasformando Socrate, per esempio, in «uno che insegna a ragionare con la propria testa», ben strana sintesi della maieutica. Dal professor Keating ha imparato giusto a portar gli studenti fuor dalla classe, ma nemmeno lui ha capito perché, né quale sia il contenuto che intende trasmettere. La scuola, «più che dare un giudizio, deve insegnare agli studenti a pensare» continua Gassman, «e questo fa il mio personaggio». Peccato che, nella più moderna forma di materialismo scettico, il “pensiero” coincida con “qualsivoglia immagine si materializzi nella mente”: dove sono il rigore nell’uso della ragione e l’ampiezza del discorso argomentativo che dovrebbero, questi sì, caratterizzare un buon insegnante di filosofia? Ma Dante – merita davvero di esser chiamato per nome – mentre si “ripassa” l’insegnante di matematica – ovviamente nevrotica e coi capelli strettamente raccolti – infelice promessa sposa del professore di ginnastica – prestante e poco sveglio – elargisce perle “di spessore” ai suoi studenti, come quando suggerisce alla studentessa dal cuore spezzato di “rendere la pariglia” al fidanzatino che l’ha mollata. Sulla scia degli “ottimi” consigli ricevuti la ragazzina fingerà una gravidanza indesiderata: proprio la strategia migliore per affrontare adolescenziali problemi di cuore!

Adolescenti allo sbando, e gli adulti son sempre altrove

Se si può forse chiudere un occhio sugli – immaginabili – problemi di budget, per cui viene fatto passare per credibile un liceo con un’unica classe terza, e un’aula insegnanti occupata dai soli docenti della medesima classe, che discorrono dell’inadeguatezza degli studenti quasi fossero attempate signore che si godono il tè delle cinque, non è però accettabile la caratterizzazione degli adolescenti.

C’è lo studente eccellente nelle scienze, vestito in jeans e pullover; la ragazza paffutella (non troppo sovrappeso, però, sennò è body shaming) sempre alle prese con la merendina sponsorizzata di turno; il belloccio ripetente, senza speranze (che però scrive commuoventi poesie d’amore) e la sua ragazza “ribelle”, coi capelli ogni giorno di un colore differente. Non può mancare la coppietta “innamorata”, invischiata però nei moderni turbamenti della fluidità di genere. Qual significativo rimpianto per I ragazzi della 3a C, serie televisiva degli anni 1980 che, senza prendersi sul serio, faceva divertire – allora sì – con macchiette simili.

Ne Un professore, invece, si fa passare per normalità la coppia di sedicenni nuda nel letto – secondo frame del primo episodio –, ovviamente con casa libera e genitori distratti, così come gli altri adulti, inadeguati e disfunzionali, impegnati solo a far quadrare bilanci precari, inconsapevoli di quel che accade ai propri figli. Con tale esacerbata superficialità si vorrebbero approcciare dinamiche profonde e drammatiche: la sessualità, la droga, la criminalità, il disagio psicologico. Non stupisce il fatto che «i grandi pensatori […] non sono più noiosi o difficili da capire, ma diventano compagni di viaggio nelle vite degli studenti»: di grandi pensieri, in realtà, non ce n’è nessuno, soltanto una gran quantità di tempo, libero – del professore – variamente impiegato in quantità di “dialoghi motivazionali”, degni del più arrabattato personal coach.

Questa sì, di serie, dovrebbe essere colpita dalla censura, sia per gli adolescenti, che non hanno certo bisogno di confermare l’immagine di adulti più incasinati e incapaci di loro, ma, soprattutto, per i professori, in particolare quelli di Filosofia. Non sia mai che qualcuno – e il pericolo è decisamente concreto – si illuda che sia meglio imbastire improbabili degustazioni di tisane new age invece che domandare un lavoro serio e appassionato, prima a se stessi e poi ai propri studenti, sui contenuti reali della storia del pensiero dell’uomo, che con l’esercizio della ragione – e dunque senza voli pindarici e improbabili elucubrazioni simil spirituali – ricerca un significato profondo al desiderio che ci abita.

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