«Our bodies, our sports»

Un’ampia rappresentanza di donne, di svariati schieramenti, ha manifestato a Washington contro la presenza di maschi transessuali nelle competizioni sportive femminili

Our bodies, our sports

Image from «Our bodies, our sports» official website

Il Title IX è un disegno di legge sull’istruzione, firmato dall’allora presidente degli Stati Uniti d’America Richard Nixon il 23 giugno 1972, che da quel momento in poi avrebbe assicurato un mezzo per garantire alle donne un accesso equo all’istruzione, dichiarando programmaticamente che «nessuna persona negli Stati Uniti può, sulla base del sesso, essere esclusa dalla partecipazione, vedersi negati i benefici o essere soggetta a discriminazione nell’ambito di qualsiasi programma educativo o attività che riceva assistenza finanziaria federale».

Particolare rilevanza il Title IX ebbe da allora nell’ambito degli sport femminili. In base a uno studio della Women’s Sports Foundation, nelle scuole superiori la partecipazione delle ragazze a gare e attività sportive è passata da 294.015 presenze nell’anno scolastico 1971-72 a 3,4 milioni nel 2018-19 (la partecipazione dei ragazzi era di 3,67 milioni nel 1971-72 ed è stata di 4,53 milioni nel 2018-19).

Giovedì 23 giugno, in occasione del cinquantesimo anniversario dalla firma del Title IX , l’Amministrazione Biden vi ha aggiunto nuove linee guida, che consentirebbero ai maschi che si identificassero come femmine di partecipare alle competizioni sportive nelle categorie femminili, mandando letteralmente in fumo quanto conquistato in lunghi anni di impegno ed erodendo ancora una volta spazi e ruoli delle donne, in nome di una pervasiva e invadente ideologia trans.

700 pagine di emendamenti al Title IX vogliono convincere che la definizione giuridica di «sesso» non debba essere limitata dalla biologia. E questo nonostante, di recente, alcune federazioni sportive, consapevoli dell’evidente disparità di forze fra donne e uomini transessuali che si identificano come donne, abbiano escluso che tale partecipazione possa avvenire, per ovvi criteri di equità. Una per tutte la Federazione Internazionale Nuoto (FINA), in seguito alle polemiche generate dalla vittoria alla gara delle 500 yard di Will «Lia» Thomas.

A pochi isolati dalla Casa Bianca, intanto, sotto un tendone levato in Freedom Plaza, numerose donne appartenenti agli schieramenti più vari si sono radunate per protestare contro tale sopruso, in una manifestazione intitolata Our bodies, our sports, «i nostri corpi, i nostri sport», per evidenziare i modi innumerevoli in cui le donne risultano svantaggiate in relazione alla partecipazione degli uomini nelle competizioni atletiche femminili, sotto la bandiera fasulla dell’«identità di genere».

«I corpi femminili sono fondamentalmente diversi dai corpi maschili», recita l’appello delle manifestanti. «In riconoscimento di queste differenze biologiche immutabili, la maggior parte delle competizioni atletiche ha divisioni separate per maschi e femmine. Ma, recentemente, gli sport femminili sono stati attaccati. Nel 50° anniversario del Title IX, unisciti a noi per celebrare le atlete e aiutaci a preservare la competizione atletica fra persone dello stesso sesso». Impossibile dar loro torto.

Exit mobile version