Il successo ha un prezzo che non sempre è sostenibile

Riflessioni dalla Mindfulness Counselor - Life & Business Coach italiana, ispirate dalle dimissioni della Premier neozelandese

Nuova Zelanda

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Le dimissioni della Premier neozelandese, Jacinda Adner, che ha tolto la maschera svelandosi umana, (dicendo: “Sono umana. Ho finito le energie!”), si apre un tema comune poco esplorato: il successo ha un prezzo che non sempre è sostenibile. “Se la sola realizzazione professionale bastasse, non incontrerei professionisti infelici. Allora dove si inceppa la regola del “più ho, più sono felice?” Con il tempo e con minuziosa osservazione credo che l’antidoto alla mancanza non sia l’eccesso ma l’abbastanza. Chiaro che trovare appagamento in ciò che è bastante oggi non fa notizia, anzi: “siate folli, siate affamati” è la regola. In effetti non sarebbe uno slogan con-vincente “siate folli finchè non ne avrete abbastanza!!”…forse perché l’abbastanza non è considerato un obiettivo. Perché lo scrivo qui? Perché credo che il “successo” possa e debba essere sostenibile, oggi con urgenza”, dice nelle sue riflessioni scomode ma (v)Vitali – Michela Vitali.

Quando parliamo di sostenibilità sociale, economica, ambientale, il focus è ancora troppo “esterno” dimenticando l’attore-persona nella sua intimità. Per sostenibile Vitali non si riferisce a parametri standard, ma ad una modalità rispettosa e di buon senso. Che includa e sappia integrare gli opposti con maestria, che possa aiutare la comunità. Parla di rispetto del tempo che passa e non torna, degli amori non curati, dei figli che crescono veloci. Dei colleghi che sono prima esseri umani, poi ruoli.

“Perché, tu che stai correndo, vorrei sapessi che è possibile sentirsi sazi senza rinunciare alla propria realizzazione. E’ possibile un successo sostenibile, morbido, autoironico e flessibile. Un successo che chiede tanta fatica quanto piacere puro, che chiede mente quanto cuore, che chiede di fallire come di vincere. E che va bene così. Che chiede un abile gioco di sfumature e non confini netti, forse un uso di acquerelli anziché decisi colori acrilici. Che chiede di andare oltre la dualità in continua interdipendenza”, riflette Vitali.

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