Last updated on Ottobre 25th, 2020 at 03:29 am
«Trump contro tutti». Oggi, come quattro anni fa, l’ex tycoon si candida alle presidenziali statunitensi dovendo sfidare sondaggi sfavorevoli, media invisi, tentativi di censura, campagne avverse alla sua persona prima ancora che alle sue idee e al suo operato. E oggi, ancora più che quattro anni fa, la posta in gioco è altissima. Le urne del 3 novembre non decreteranno infatti soltanto il vincitore tra un candidato Repubblicano e uno Democratico, ma tra due visioni del mondo, della società e persino antropologiche antitetiche.
L’importanza di queste elezioni è raccontata nell’agile saggio intitolato proprio Trump contro tutti. L’America (e l’Occidente) al bivio scritto a quattro mani da Stefano Graziosi (docente di Politica statunitense nella Fondazione Rui, e collaboratore de La Verità e Panorama) e Daniele Scalea (presidente del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli, già autore di Immigrazione. Le ragioni dei populisti). “iFamNews” ha intervistato Scalea per parlare del libro – che tra l’altro contiene anche contributi di Daniele Capezzone e di Giancarlo Giorgetti – e dell’incidenza che le elezioni hanno soprattutto su temi bioetici.
Il ticket presidenziale Democratico è nettamente spostato su posizioni abortiste. Quanto inciderà sul voto?
L’aborto è un tema che divide molto gli Stati Uniti d’America e, malgrado la martellante propaganda progressista, rispetto agli anni 1990 è calato il numero di chi lo desidera sempre legale e aumentato quello di chi lo metterebbe al bando in ogni caso (la posizione maggioritaria rimane, ovviamente, quella mediana, che crede che l’aborto debba essere legale solo in determinate circostanze). I sondaggi dicono anche che sono aumentati gli elettori che votano non esclusivamente in base alla questione aborto. Si stima che un elettore indipendente su quattro sia antiabortista tout court; di converso, però, le posizioni cosiddette pro-choice sono in crescita tra quanti si definiscono Democratici e ciò spiega perché quel partito stia spingendo per norme molto estreme, che consentono l’aborto fino al momento stesso in cui il bambino sta per vedere la luce. Siccome una buona metà degli elettori Democratici rimane convinto che l’aborto debba essere limitato, queste fughe in avanti possono però danneggiarlo. E questo spingerà sicuramente diversi elettori indipendenti e Repubblicani delusi dal presidente Donald J. Trump a non votare il candidato Democratico Joe Biden.
Quale significato assume il dibattito in corso al Senato sulla nomina del giudice Amy Coney Barrett alla Corte Suprema federale?
La Sinistra ha un programma molto chiaro: rivoluzionare la società con norme calate dall’alto, in cui non è la legge a rispecchiare l’opinione pubblica, bensì quest’ultima a doversi conformare alle leggi stilate da un’élite di “illuminati”. Laddove questa élite sia in minoranza, rendendo impossibile avanzare tale agenda entro regole democratiche, la scappatoia sta nel portarla avanti sfruttando altri poteri: il principale è proprio quello giudiziario. I giuristi Democratici teorizzano che la Costituzione federale sia come una sorta di “organismo vivente”, che non va interpretata alla lettera. Non bisogna cioè attenersi a quanto scritto dai Padri costituenti e, semmai, modificarla attraverso l’azione legislativa dov’è rappresentato il popolo sovrano: no, bisogna di volta in volta reinterpretarla alla luce della “sensibilità attuale” di cui, ovviamente, i giudici sarebbero i legittimi interpreti. In tale modo il potere legislativo è surrettiziamente trasferito alla casta dei magistrati. Per questa ragione è quindi fondamentale che la Corte Suprema federale non sia a maggioranza progressista: altrimenti verrebbe utilizzata come grimaldello per cambiare le leggi secondo un’agenda ideologica.
Biden è formalmente cattolico e il Vaticano sembra quantomeno «tiepido» nei confronti delle posizione pro life del ticket Trump-Pence: quanto questi due fattori potrebbero spostare il voto dei cattolici verso i Democratici?
Molti cattolici non si faranno influenzare e decideranno da sé. Biden conta di poter conquistare il voto cattolico ma, al contempo, assume posizioni che cozzano con i princìpi morali cattolici. Trump è stato molto scaltro nello scegliere per la Corte Suprema una giudice di fede cattolica: i Democratici si trovano nella difficile posizione di doverla attaccare per le sue convinzioni indipendentemente dal suo cattolicesimo. Un esercizio non semplice.
In questi quattro anni Trump ha adottato misure concrete a difesa della libertà religiosa. Questo lavoro potrebbe essere vanificato da una presidenza Dem?
I Democratici hanno ormai abbracciato un’ideologia radicale e per sua natura totalitaria. Quest’ideologia non ammette eccezioni: vuole imporre un pensiero unico e una «neolingua». Presumibilmente, con una presidenza Dem, gli unici fedeli a vedere aumentare la propria libertà sarebbero gli (invero pochi) musulmani americani: non perché l’islam si accordi con l’ideologia progressista, anzi, ma perché quest’ultima considera i musulmani un’esotica minoranza “oppressa” che va tutelata e vezzeggiata in ogni modo.
Un capitolo del vostro libro è dedicato a quella che definite «incognita pandemia». Avere contratto il virus ed esserne rapidamente guarito può rappresentare un’arma in favore di Trump?
Non credo sposterà più di tanto i voti, poiché sull’epidemia l’opinione pubblica si è polarizzata in due posizioni molto politicizzate. I Democratici tutti “mascherina e lockdown” non cambieranno idea perché Trump, in teoria prototipo del soggetto a rischio, si è ripreso senza troppi patemi. Tutt’al più questa plastica dimostrazione che il CoViD-19 è una malattia seria, ma non esattamente la peste nera dipinta da certi media, potrebbe motivare taluni elettori Repubblicani delusi dalla gestione trumpiana dell’epidemia, e spaventati dal virus, a sostenerlo comunque. Certo quest’effetto per ora non si è registrato nei sondaggi.
Il sottotitolo del libro recita L’America e l’Occidente al bivio. Il crocevia cui fate riferimento è tra l’egemonia statunitense e quella cinese? È lecito affermare che l’eventuale vittoria di Biden contribuirà all’ascesa sullo scacchiere geopolitico di Pechino?
È uno dei risvolti di questo bivio. Non mi spingerei a dire che Biden sarà filocinese, ma la fede Democratica nella globalizzazione stride con qualsiasi tentativo pratico di frenare l’ascesa industriale e produttiva di Pechino. Inoltre il fatto che Trump si sia tanto speso contro la Cina farà sì che, per reazione, i dottrinari Democratici, secondo cui tutto ciò che Trump fa è male a prescindere, guarderanno alla Cina con favore.
I sondaggi non sorridono a Trump. È verosimile un suo nuovo exploit come quello del 2016?
Oggi gli Stati Uniti sono marcatamente polarizzati. Gli spostamenti elettorali sono meno massicci che in passato: gli elettori tendono cioè a rimanere fedeli al proprio partito, a prescindere dal candidato. Le ultime cinque elezioni si sono risolte con un margine di 2-3%, a parte quella del 2008 che fu caratterizzata dal crollo economico: e anche in quel caso lo scarto fu del 7%. Ora, il 2020 è anomalo, per via del nuovo coronavirus, e quindi un risultato fuori dall’ordinario è possibile. Tuttavia lo svantaggio trumpiano a doppia cifra di cui si parla ora appare assai inverosimile. Penso che molti elettori Repubblicani delusi, alla fine, si presenteranno comunque alle urne. I sondaggi potrebbero non registrare un voto per Trump che viene mantenuto con riserbo per il clima univoco di condanna che proviene dai media. Infine, con Biden pronosticato come vincitore sicuro, l’attenzione degli elettori si focalizzerà su di lui e sicuramente cominceranno a esserci le prime incrinature tra chi lo vota esclusivamente perché scontento di Trump. Biden ha beneficiato molto dal non apparire in campagna elettorale, cosa che ha trasformato le elezioni in un referendum su Trump. In queste settimane, tuttavia, l’elettorato si interrogherà anche su meriti e demeriti di Biden e del suo partito.